Hikikomori: significato di un isolamento sociale a metà

Hikikomori: significato di un isolamento sociale a metà

Hikikomori: significato

Hikikomori deriva dal verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (ritirarsi) ed indica una sindrome sociale che va diffondendosi ormai in maniera critica e capillare (S. Moretti, 2010).

Dicono che il fenomeno Hikikomori sia nato in Giappone ma, in realtà, si tratta di un complesso quadro che unisce pensieri, emozioni e stili di vita condivisi anche da molti adolescenti e adulti in Italia.

Hikikomori: sintomi o manifestazioni comportamentali?

La caratteristica principale degli Hikikomori è il ritiro sociale, che può durare da alcuni mesi a diversi anni, incidendo notevolmente sulla vita di queste persone che, a loro dire, non sentono di vivere in una società di cui vorrebbero far parte. Parliamo di ragazzi e adulti di vario genere ed età che, spesso in modo graduale, decidono di isolarsi da conoscenti e familiari e di condurre un’esistenza isolata tra le mura domestiche.

Spesso gli Hikikomori passano intere giornate a guardare documentari, film e serie TV a scopo ricreativo, ma anche tutorial e corsi online a scopi formativi. Sembrerebbe un’esistenza da antisociali, se non fosse che in realtà gli hikikomori cercano il contatto con l’altro condividendo giochi virtuali e tornei online, facendo nuove amicizie attraverso chat e videochiamate e, talvolta, stringendo legami più forti sempre passando attraverso Internet.

Alcuni di loro arrivano a negare il bisogno di uscire di casa, altri vivono il solo fatto di mettere un piede nel proprio giardino come una piccola, grande, vittoria. Molti affermano che il proprio stile di vita sia una scelta perché semplicemente “non stanno bene nel mondo reale”, mentre altri condividono il desiderio di uscire, un giorno, e sentirsi finalmente “liberi di essere quello che sono”.

Quello degli Hikikomori è un fenomeno ancora poco studiato e di cui non sappiamo molto, in parte perché piuttosto recente, in parte perché può risultare meno facile, seppur non impossibile, avere un confronto diretto con loro.

Una piccola inchiesta che ho trovato ricca di spunti utili è quella diretta da Fanpage.it disponibile qui, nella quale due ragazzi accettano di farsi intervistare tramite videochiamata. Emergono molti punti in comune tipici messi in evidenza dal Dottor Piotti, psicologo e psicoterapeuta, che sottolinea come la loro scelta di isolarsi spesso si riflette anche sul nucleo familiare, portandoli ad evitare anche il contatto con i propri parenti nei momenti di condivisione quotidiana come quello dei pasti. Lo stesso, però, ci mette in guardia dall’inquadrare gli Hikikomori nei disturbi da dipendenze come quella da internet, trattandosi di un fenomeno molto più complesso. Altrettanto interessante l’iniziativa promossa da Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, un blog successivamente trasformato in sito che offre uno spazio di confronto sia tra ragazzi Hikikomori, sia tra genitori, allo scopo di sensibilizzare sul fenomeno e di creare una rete in continua espansione. A mio parere il sito rappresenta un ottimo strumento da sfruttare anche per conoscere persone che vivono la stessa situazione a pochi chilometri da casa, per facilitare il passaggio dall’interazione online a quella offline.

Come accennato poco prima è difficile stilare un profilo esaustivo, tuttavia oltre alle caratteristiche sopra citate molti Hikikomori condividono una storia di fobia scolastica che li ha portati ad abbandonare gli studi sin da adolescenti o a concluderli vivendo la scuola come un inferno, fatto di giudizi e persone da cui nascondersi e non coetanei con cui relazionarsi piacevolmente. Alcuni di loro, inoltre, sostengono di essere stati vittime di bullismo e/o cyberbullismo. Dunque l’ansia e in particolare l’ansia da prestazione e la fobia sociale sembrano rivestire un ruolo cruciale nel fenomeno Hikikomori.

Piotti attribuisce una parte della colpa alla società odierna, nella quale sembra prevalere l’aspetto della vergogna, una componente che i ragazzi sono tenuti a fronteggiare in un’età particolarmente difficile come quella adolescenziale. Durante l’adolescenza, infatti, l’identità individuale è ancora acerba e si forma progressivamente attraverso il contatto con gli altri, in primis con i coetanei.

Condivido pienamente il punto di vista espresso dal Dott. Piotti secondo il quale la vita virtuale permette ai ragazzi Hikikomori di annientare la paura del confronto di alcuni aspetti di sé, in primis del proprio corpo e del proprio aspetto. Tuttavia ciò non significa che i ragazzi si annullano completamente, in quanto tendono a esprimere emozioni, pensieri e opinioni (e dunque una buona parte di sé) attraverso personaggi virtuali, come se costruissero una persona ad hoc con il preciso intento di trasmettere solo una parte di sé attraverso un canale meno rischioso.

Gli Hikikomori non sono eremiti

Lo scopo sembrerebbe quello di incanalare le proprie energie e il proprio essere attraverso uno strumento che, a differenza degli eremiti, non punta propriamente all’isolamento sociale. Gli Hikikomori accettano e anzi cercano il confronto sociale ma, in molti casi, solo alle condizioni sopra descritte.

In altre parole gli eremiti hanno deciso di lasciare la società per vivere in modo individuale, gli Hikomori rifiutano di farne parte.

Gli Hikikomori non sono scansafatiche

Allo stesso modo, alcuni Hikikomori, pur mantenendo uno stile di vita peculiare limitato alle quattro mura domestiche, non rinunciano ad alcuni bisogni di base come quello professionale, impegnandosi in lavori online da svolgere senza uscire di casa.

Gli Hikikomori non sono semplicemente depressi

Sebbene questi ragazzi possano condividere diversi aspetti comuni con la depressione, gli Hikikomori non possono essere considerati semplicemente ragazzi depressi, pur non negando che in alcuni casi possa essere presente uno stato depressivo. A prescindere dall’età coinvolta in tale fenomeno, che non si riduce alla sola adolescenza ma spesso si estende all’età adulta, è riduttivo limitare il complesso quadro degli Hikikomori alla sola presenza di un disturbo depressivo.

In tale senso sicuramente sono necessari studi scientifici più accurati in quanto, come anticipato, si tratta di un fenomeno relativamente moderno e ancora ricco di incertezze. Un dato interessante da notare è che, a differenza della tipica sintomatologia depressiva, gli Hikikomori non passano le giornate a dormire e a “non fare niente”. Molti di loro sono quotidianamente impegnati in progetti personali, di scrittura, di informazione attraverso Youtube e altri canali audiovisivi online, al punto che, come giustamente sottolinea il Dott. Piotti, una volta usciti dal periodo di reclusione possono spesso contare su un buon bagaglio culturale.

Un altro aspetto interessante riguarda il ciclo sonno veglia. Ascoltando i loro racconti e le testimonianze dei loro familiari emerge che spesso questi ragazzi presentano un ciclo sonno veglia invertito, che li porta a dormire di giorno e restare svegli di notte. Per alcuni ciò rappresenta una forma di protesta, per altri, e condivido la seconda visione, un semplice modo per evitare il contatto con persone in carne e ossa: una reazione comportamentale perfettamente in linea con la scelta dell’isolamento sociale nei confronti di persone reali.

Quella degli Hikikomori è davvero una scelta (libera)?

Questa è una domanda a cui psicologi ed esperti del settore sono chiamati a rispondere in modo esaustivo. A mio parere è una scelta di vita. Tuttavia non ritengo sia una scelta libera, nel senso che anche se la persona decide di vivere in un determinato modo, è innegabile che tale stile la limiti fortemente. Non mi riferisco ai soli effetti sulla vita sociale, ma anche a quelli legati alla soddisfazione di bisogni primari, come quelli sessuali e lavorativi.

Una volta parlando con un ragazzo Hikikomori mi ha colpito il passaggio repentino, dalla calma apparente che trasmetteva inizialmente cercando quasi di tranquillizzarmi sulla scelta fatta in maniera assolutamente autonoma e soddisfacente, a un’improvvisa ira, seppur celata e ben gestita. Una rabbia che ha piano piano espresso, scatenata dalla società e dai suoi ex compagni di classe “ipocriti e superficiali” che hanno fatto poco o nulla quando si frequentavano e quando si è isolato da amici e parenti. Non tutti, comunque, accettano questa “etichetta”.

Hikikomori e la cura universale (che non c’è)

Non trattandosi propriamente di un disturbo è scorretto parlare di cura. Tuttavia è possibile migliorare la qualità della vita dei ragazzi Hikikomori attraverso un lavoro di rete e non tentando di smuovere qualcosa con l’intimazione o obbligando i ragazzi a fare o non fare qualcosa.

In tale senso condivido il parere di Piotti secondo cui attraverso l’imposizione è difficile ottenere i risultati sperati. Pertanto, come tra l’altro sostenuto dai genitori che ci sono passati, obbligare i ragazzi a rinunciare a internet non porta alcun giovamento. Paradossalmente, la rete rappresenta un fattore protettivo per questi ragazzi perché permette un’identificazione con l’altro, seppur in modo fortemente vincolato ai limiti della comunicazione online.

Al contrario si dovrebbe provare a utilizzare internet come uno strumento per riavvicinarsi al loro mondo, trascorrendo momenti di vita quotidiana reale ma entrando da una porta privilegiata. Piano piano, attraverso un percorso progressivo e con l’aiuto di esperti nel settore, è possibile mirare all’evoluzione di questa condivisione sociale integrando sempre più elementi e persone del mondo reale, costruendo insieme una fiducia in sé stessi e nell’altro spesso carente.

 

Bibliografia

Moretti S., 2010 – Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. IV n. 3 –Settembre-Dicembre

Piotti A., 2008. La società degli hikikomori in Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli, Milano

Sitografia

http://www.hikikomoriitalia.it/

https://youmedia.fanpage.it/video/aa/WeDQ5eSwlLXuQll5

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